domenica 19 agosto 2012

OSSERVAZIONI ALLE PROPOSTE DI LEGGE FORMULATE DA S.E.L. e NUOVO PARTITO D’AZIONE CIRCA L’ISTITUZIONE DEL REDDITO MINIMO GARANTITO
A cura di Carlo Rovello per Giustizia & Libertà Circolo “Cristoforo Astengo” Savona

A fronte di varie proposte circa nuove forme di sostegno del reddito che sono state, da più parti e con diverse soluzioni, formulate in Europa e anche in Italia, tentiamo modestamente e in estrema sintesi di fare il punto. Prendiamo le mosse dalle intenzioni di Sinistra Ecologia e Libertà e del Nuovo Partito d’Azione. (In allegato a questo documento).
Data come assodata la crisi, o quantomeno la grave difficoltà attraversata dai sistemi di welfare classico (su questo punto riteniamo esserci convergenza sia tra gli esperti che tra le forze politiche), in Europa sono stati ideati vari strumenti per uscirne fuori. Tali metodi assumono varie denominazioni,non trascurabili anche dal punto di vista dell’appeal che esse possono esercitare sui parlamenti e sulle confusioni che spesso ingenerano: reddito minimo garantito, reddito d’inserimento, allocazione universale, basic income, reddito di cittadinanza,ecc. Per dare una coordinata concettuale generale, aldilà del nome, bisogna sapere che il vero discrimine tra queste forme di sostegno al reddito è uno soltanto: la presenza o assenza della verifica dei mezzi, cioè delle dotazioni del beneficiario.
Da un punto di vista ideologico, noi del Circolo Astengo simpatizziamo per il reddito minimo universale, cioè una allocazione scollegata dalla verifica dei mezzi, legata alla cittadinanza, erogata su base nazionale, finanziata dall’erario e cumulabile con altri redditi.
Sicuramente comprendiamo, e noi stessi nutriamo, le obiezioni e i dubbi, anche morali che tal proposta può sollevare, ma riteniamo anche doveroso indagare strade che conducano a cambiamenti sostanziali della società.
Veniamo alle  proposte di legge.  Sel propone una misura strettamente assistenziale, erogata dall’Inps,  la cui fase amministrativa è gestita a livello provinciale dai centri per l’impiego. In primo luogo essa sarà pagata con i contributi dei lavoratori, da un ente come l’Inps già in crisi e la verifica dei mezzi, nonché la ricerca attiva di un lavoro e le valutazioni di congruità, saranno affidate ai centri per l’impiego, che notoriamente funzionano poco e male.
Non si dimentichi che la verifica dei mezzi, sebbene legata a valori morali di equità e giustizia sociale, in Italia è costosa,frammentaria e spesso vana, inoltre è invasiva e rischia di stigmatizzare e cronicizzare situazioni di difficoltà.
Le soglie di reddito, 8000 quella personale, ancora da definire quella del nucleo, rischiano di escludere, in certi casi, i lavoratori precari che non superino la retribuzione di 600 euro mensili. Inoltre il beneficio si perde non appena si superi la soglia degli 8000 euro annui (circa 700 euro al mese per chi non ha altri redditi). Da notare come la misura sia strettamente legata al bisogno e alle economie di scala e non abbia un programma di scelta futuribile, specie per i più giovani. Si consideri poi che mancare una sola chiamata del centro per l’impiego fa perdere il sussidio, anche alla luce dell’art. 7 comma 5, che lascia ai funzionari del centro per l’impiego un difficile giudizio di congruità con le mansioni precedenti o le competenze possedute e getta il precario nel dilemma di perdere il beneficio o accettare lavori poco consoni.
Per finanziare questo strumento, Sel indica risorse provenienti dalla fiscalità generale, senza rendere alcuna indicazione. Si tratta di un rimando incoerente, poiché l’inps prende i soldi essenzialmente dai datori di lavoro e non dal fisco. Semmai questo è in linea con l’idea perequativa di GL che batte la strada della patrimoniale ordinaria con aliquota moderata e l’abolizione di una serie di privilegi quali le regioni a Statuto Speciale,che prevede la revisione delle leggi di agevolazione fiscale, delle deduzioni e delle detrazioni,ecc.
Infine, non ci pare abbia senso, il peregrino art. 11 che delegherebbe all’esecutivo di fissare il salario minimo. In primo luogo perché il salario minimo non ha a che vedere con le riforme assistenziali, ma riguarda semmai le politiche del lavoro e l’applicazione dell’art. 36 della Costituzione. In secondo luogo perché, un sussidio come quello che propone Sel, che si pone nell’ottica della flessibilità in entrata e uscita, mal si coordina con un salario minimo che le imprese vedrebbero, oggi, come un impedimento alle assunzioni anche in forma precaria. Poi sul punto il discorso è complesso, rimanda anche alla contrattazione collettiva e non può essere ulteriormente sviluppato.
Se osserviamo la formulazione, qui solo programmatica del Nuovo Partito d’Azione, verifichiamo poche differenze sostanziali. Si parla di 4 milioni di italiani: “I più bisognosi”, si incrocia impropriamente il dato del bisogno con quello di cittadinanza, come specchietto per le allodole dei sostenitori di una allocazione universale, ci si aggroviglia in una difficile estensione del reddito agli stranieri, che appare più esclusiva che inclusiva, specie da parte di un partito che dovrebbe sostenere lo ius soli; anche l’importo, 416 €, sembra più coerente con un reddito di natura universale. Infine la c.d. “microimpresa supermarginale” sembra più che altro un modo di far emergere lavori saltuari.
Prima di decidere se la riforma del welfare debba passare attraverso modelli di flexicurity (sicurezza sociale e flessibilità in stile scandinavo basate su una verifica totale o parziale dei mezzi) o allocazioni universali, dobbiamo semmai riflettere ancora sul fatto che il nostro paese possa o meno inseguire l’obiettivo dell’incremento occupazionale, o ancora e meglio, se tali strumenti possano generare occupazione.
In altre parole e ritornando alle premesse, bisogna capire se insistere ancora su un modello tradizionale di cittadinanza strettamente correlata al lavoro, oppure ammettere la crisi della società del lavoro e virare verso forme di integrazione reddituale di natura mista o addirittura completamente scollegate dalla verifica dei mezzi e dalla posizione lavorativa.
In termini realistici, tenuto conto del quadro generale italiano, se non è ancora chiaro quale strumento adottare (questo dovrebbe essere oggetto di dibattito profondo a Sinistra) sappiamo cosa si deve evitare:
se proponiamo metodi di allocazione universale dobbiamo evitare che sconfinino nello “stato minimo” alla Milton Friedman, cioè il reddito universale non deve mai essere sostitutivo degli ammortizzatori sociali e non deve essere il grimaldello per abbattere l’intervento statale nel mercato;
se proponiamo strumenti di flexicurity dobbiamo guardare prima alla sicurezza sociale e poi alle garanzie in uscita dal mondo del lavoro; vale a dire che prima dobbiamo generare la possibilità di scelta in ingresso e poi rendere non traumatica l’uscita dal lavoro e i periodi di transizione tra un rapporto ed il successivo;
qualsivoglia provvedimento sia adottato, esso non deve garantire solo chi è già garantito, come avviene oggi nel sistema italiano, ma deve garantire quelle migliaia di persone precarie (co.co.pro., associati in partecipazione, somministrati,tirocinanti, praticanti,ecc.) che non hanno accesso a forme di tutela o integrazione del reddito, inoltre, e soprattutto, gli inoccupati che non hanno mai avuto accesso al mondo del lavoro. Questo anche alla luce del fatto che la parasubordinazione  maschera frequentemente il lavoro dipendente e che i salari in ingresso nel mondo del lavoro hanno scarso potere d’acquisto e gli avanzamenti di carriera sono limitatissimi;
la riforma del welfare dev’essere unificante, non deve essere frammentaria e categoriale come è in effetti in Italia;
infine un nuovo welfare deve tenere conto di tutto quel merito che non è retribuito, in primis il lavoro domestico e di cura e tutte le attività socialmente meritevoli di tutela per il contributo collettivo non squisitamente economico che forniscono.
Solo una flessibilità intelligente può scongiurare il precariato e consentire quella mobilità sociale che può portare anche sviluppo.

Circolo Giustizia & Libertà
“Cristoforo Astengo”
 Savona
Charles Fourier precursore del reddito universale

 



Proposta di legge di Sinistra Ecologia e Libertà

Proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione del Reddito Minimo Garantito
Art. 1.
(Istituzione del reddito minimo garantito)
1. Al fine di dare attuazione al diritto fondamentale sancito dall’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e ai principi di cui agli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione è istituito il reddito minimo garantito.
2. Il reddito minimo garantito ha lo scopo di contrastare la marginalità, garantire la dignità della persona e favorire la cittadinanza, attraverso l’inclusione sociale  per gli inoccupati, i disoccupati e i lavoratori precariamente occupati, quale misura di contrasto alla disuguaglianza e all’esclusione sociale nonché quale strumento di rafforzamento delle politiche finalizzate al sostegno economico, all’inserimento sociale dei soggetti maggiormente esposti al rischio di marginalità nella società e nel mercato del lavoro.
3. Le prestazioni del reddito minimo garantito costituiscono livelli essenziali concernenti i diritti sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione.
4. Entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge è emanato un regolamento d’attuazione ai sensi dell’art. 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Art. 2.
(Definizioni)
1. Ai fini di cui alla presente legge si intende per:
a) «reddito minimo garantito»: quell’insieme di forme reddituali dirette ed indirette che mirano ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa; le forme reddituali dirette consistono nell’erogazione di somme di denaro, quelle indirette nell’erogazione di beni e servizi in forma gratuita o agevolata da parte di Stato, Enti territoriali, enti pubblici e privati convenzionati;
b) «centri per l’impiego»: le strutture previste dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469;
c) «nucleo familiare»: l’insieme delle persone che dividono una medesima abitazione che, indipendentemente dalla composizione anagrafica, formano una relazione di coniugio o del tipo genitore-figlio;
d) «lavoratori autonomi»: i lavoratori che prestano attività lavorativa senza vincoli di subordinazione e che sono titolari di partita IVA;
e) «lavoratori a tempo parziale»: i lavoratori che prestano attività di lavoro subordinato con un orario di lavoro inferiore a quello normale individuato all’articolo  13,  comma  1,  della  legge  24 giugno 1997, n. 196, e successive  modificazioni, o l’eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi.
Art. 3.
(Reddito minimo garantito)
1. Il reddito minimo garantito, quanto alla forma reddituale diretta, consiste nella erogazione di un beneficio individuale in denaro pari a 7200 euro l’anno, da corrispondere in importi mensili di 600 euro ciascuno, rivalutate annualmente sulla base degli indici sul costo della vita elaborati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT).
2. La persona ammessa a beneficiare del reddito minimo garantito riceve altresì un contributo parziale o integrale per fronteggiare le spese impreviste, secondo i criteri e le modalità stabilite dal regolamento d’attuazione di cui all’articolo 1, comma 4.
3. Le somme di cui al comma 1 sono ricalcolate secondo i coefficienti di cui all’allegato A, in ragione del numero dei componenti del nucleo familiare a carico del beneficiario.
4. L’erogazione in denaro del reddito minimo garantito, per ogni nucleo familiare, è pari alla somma di cui al comma 1, maggiorata secondo i coefficienti di cui all’allegato A. Il regolamento d’attuazione di cui all’articolo 1, comma 4 disciplina le modalità di erogazione in presenza di minorenni o di più aventi diritto all’interno del nucleo familiare, assicurando il principio di pari trattamento tra i coniugi e tra tutti gli aventi diritto.
5. Le prestazioni di cui al comma 1 non sono cumulabili dai soggetti beneficiari con altri trattamenti di sostegno al reddito di natura previdenziale, ivi compresi i trattamenti di cassa integrazione, nonché con gli altri trattamenti assistenziali erogati dallo Stato indicati dell’elenco di cui all’allegato B.
6. Le prestazioni previste dal comma 1 sono personali e non sono cedibili né trasmissibili a terzi.
7. Le funzioni amministrative di cui alla presente legge, tenuto conto dei criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, sono attribuite ai centri per l’impiego. La domanda di reddito minimo garantito va presentata al centro per l’impiego del luogo di residenza del richiedente. Il centro per l’impiego acquisisce la documentazione necessaria e provvede nel termine di dieci giorni. In caso di mancata risposta la domanda si intende accolta, fatta salva la facoltà di revoca del beneficio in caso di adozione tardiva del provvedimento di reiezione della domanda. Il regolamento d’attuazione di cui all’articolo 1, comma 4 disciplina le modalità di presentazione, anche telematica, delle domande e stabilisce gli ulteriori compiti dei centri per l’impiego.
Art. 4.
(Soggetti beneficiari e requisiti)
1. Sono beneficiari del reddito minimo garantito coloro che, al momento della presentazione dell’istanza per l’accesso alle prestazioni di cui all’articolo 3, siano in possesso dei seguenti requisiti:
a) residenza sul territorio nazionale da almeno ventiquattro mesi;
b) iscrizione alle liste di collocamento dei centri per l’impiego, salvo che si tratti di lavoratori autonomi, di lavoratori a tempo parziale, oppure di lavoratori che hanno subito la sospensione della retribuzione nei casi di aspettativa non retribuita per gravi e documentate ragioni familiari ai sensi dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53;
c) reddito personale imponibile non superiore ad 8 mila euro nell’anno precedente alla presentazione dell’istanza ;
d) reddito del nucleo familiare in cui il soggetto richiedente è inserito non superiore all’ammontare stabilito dal regolamento d’attuazione di cui all’articolo 1, comma 4. Il regolamento opera un ragionevole bilanciamento tra il carattere individuale dell’attribuzione e criteri di equità e solidarietà sociale;
e) non aver maturato i requisiti per il trattamento pensionistico;
f) non essere in possesso a livello individuale di un patrimonio mobiliare o immobiliare superiore a quanto stabilito dal regolamento di attuazione di cui all’articolo 1, comma 4. Il regolamento assicura che nella determinazione della soglia patrimoniale oltre la quale si perde il diritto al reddito minimo garantito non si tenga conto della titolarità della casa di prima abitazione, né degli altri beni mobili e immobili necessari alla soddisfazione dei bisogni primari della persona, come indicati dall’art. 5, comma 2.
Art. 5.
(Compiti delle regioni e degli enti locali)
1. In sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono definite, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le linee guida per il riconoscimento e l’erogazione di prestazioni di reddito minimo garantito nelle forme dirette e indirette, ulteriori e aggiuntive rispetto a quanto previsto dall’art. 3.
2. Le linee di guida di cui al comma 1 stabiliscono le modalità con cui:
a) garantire la circolazione gratuita, previo accordo con gli enti e con i soggetti privati interessati, sulle linee di trasporto pubblico locale e regionale su gomma, rotaia e metropolitane;
b) favorire la fruizione di attività e servizi di carattere culturale, ricreativo o sportivo;
c) contribuire al pagamento delle forniture di pubblici servizi;
d) garantire la gratuità dei libri di testo scolastici;
e) erogare contributi per ridurre l’incidenza del costo dell’affitto sul reddito percepito nei confronti dei soggetti beneficiari di cui all’articolo 4, titolari di contratto di locazione;
f) garantire la gratuità delle prestazioni sanitarie;
g) erogare somme in denaro aggiuntive rispetto a quelle di cui all’articolo 3, tenuto conto delle particolari esigenze di protezione e sostegno nei differenti contesti territoriali.
3. Le regioni che intendono partecipare al raggiungimento degli obiettivi definiti nelle linee guida di cui al comma 1, di concerto con i comuni e gli enti locali, stabiliscono un piano d’azione annuale e un piano d’azione triennale, nel quale definiscono la platea dei beneficiari e il contenuto dei diritti da garantire che eccedono i livelli essenziali di cui all’articolo 3.
Art. 6
(Durata del beneficio e obblighi del beneficiario)
1. Il provvedimento di concessione del reddito minimo garantito ha una durata di dodici mesi. Alla scadenza del periodo indicato il beneficiario che intenda continuare a percepire il reddito minimo garantito è tenuto a ripresentare la domanda al centro per l’impiego competente con le modalità stabilite dal regolamento d’attuazione di cui all’articolo 1, comma 4.
2. Il beneficiario è tenuto a comunicare tempestivamente al centro per l’impiego, con le modalità stabilite dal regolamento d’attuazione di cui all’articolo 1, comma 4, ogni variazione della propria situazione reddituale, lavorativa, familiare o patrimoniale rilevante ai fini dell’erogazione del reddito minimo garantito.
Art. 7
(Sospensione, esclusione e decadenza dalle prestazioni)
1. Nel caso in cui uno dei beneficiari di cui all’articolo 4, comma 1, all’atto della presentazione dell’istanza o nelle successive sue integrazioni, dichiari il falso in ordine anche ad uno solo dei requisiti previsti, l’erogazione delle prestazioni di cui all’articolo 3 è sospesa e il beneficiario medesimo è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito ed è escluso dalla possibilità di richiedere l’erogazione di tali prestazioni, pur ricorrendone i presupposti, per un periodo doppio di quello nel quale ne abbia indebitamente beneficiato.
2. Il beneficiario decade dal reddito minimo garantito al compimento dell’età di 65 anni ovvero al raggiungimento dell’età pensionabile.
3. La decadenza dalle prestazioni di cui all’articolo 3 opera nel caso in cui il beneficiario venga assunto con un contratto di lavoro subordinato o parasubordinato, ovvero nel caso in cui lo stesso svolga un’attività lavorativa di natura autonoma, ed in tutti i casi, qualora percepisca un reddito imponibile superiore alla soglia di cui all’articolo 4, comma 1, lettera c).
4. La decadenza opera altresì nel caso in cui il beneficiario rifiuti una proposta di impiego offerta dal centro per l’impiego territorialmente competente.
5. Non opera la decadenza di cui al comma 4 nella ipotesi di non congruità della proposta di impiego, ove la stessa non tenga conto del salario precedentemente percepito dal soggetto interessato, della professionalità acquisita, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali e informali in suo possesso certificate dal centro per l’impiego territorialmente competente attraverso l’erogazione di un bilancio di competenze.
6. In caso di rifiuto, di sospensione o di decadenza dalle prestazioni di cui all’articolo 3 i centri per l’impiego rendono un provvedimento motivato da notificare all’interessato. Tutte le controversie relative alla presente legge sono esenti da spese.
Art. 8
(Oneri derivanti dal reddito minimo garantito)
1. Il reddito minimo garantito è erogato dall’INPS a seguito di comunicazione del centro per l’impiego competente.
2. A tal fine sono trasferite dal bilancio dello Stato all’INPS le somme necessarie, con conguaglio, alla fine di ogni esercizio, sulla base di specifica rendicontazione.
3. Per il finanziamento del reddito minimo garantito di cui all’articolo 3 è istituito un Fondo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in cui confluiscono dotazioni provenienti dalla fiscalità generale.
Art. 9
(Delega al Governo in materia di riordino della spesa assistenziale)
1. Il Governo è delegato, entro il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, a riordinare la disciplina delle prestazioni assistenziali erogate dallo Stato di cui all’allegato B, in modo da renderle coerenti con l’istituzione del reddito minimo garantito prevista nella presente legge.

Art. 10
(Delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali)
1. Il Governo è delegato, entro il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, a riformare la disciplina degli ammortizzatori sociali, in modo tale da introdurre un sussidio unico di disoccupazione, esteso a tutte le categorie di lavoratori in stato di disoccupazione, indipendentemente dalla tipologia contrattuale di provenienza e dall’anzianità contributiva e assicurativa.
 Art. 11
(Delega al Governo in materia di istituzione del salario minimo garantito)
1. Il Governo è delegato, entro il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, a stabilire le modalità di determinazione del compenso orario minimo applicabile a tutti i rapporti aventi ad oggetto una prestazione lavorativa, inclusi quelli di natura parasubordinata e quelli con contenuto formativo.
2. Il salario base dei lavoratori dipendenti e parasubordinati non può essere determinato in misura tale che il reddito del lavoratore risulti inferiore a quello che risulterebbe dall’applicazione del compenso orario minimo di cui al comma 1.



ALLEGATO A – Coefficienti di maggiorazione dl reddito minimo garantito in ragione del numero di familiari a carico.
Numero di componenti
Coefficiente
Beneficio erogato
1
1
600
2
1,66
1000
3
2,22
1330
4
2,72
1630
5
3,16
1900

ALLEGATO B – Prestazioni assistenziali erogate dallo Stato oggetto di riordino.
Denominazione della misura
Riferimento legislativo
Assegno sociale
Legge 335/95
Pensione sociale
Art. 26, legge 153/69
Assegno ai nuclei familiari numerosi
Art. 65 legge 488/1998
Assegno di maternità di base
Art. 74 del D.Lgs. 151/2001
Pensione di inabilità
Legge 118/1971
Indennità di frequenza
Legge 118/1971
Assegno di invalidità
Legge 118/1971
Pensione per i ciechi
Legge 66/1962
Pensione ai sordi
Legge 381/1971
Social card minori
Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito con modificazioni nella legge 133/2008
Social card anziani
Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito con modificazioni nella legge 133/2008


Programma del Nuovo Partito d’Azione (estratto)
STEP 4: REDDITO MINIMO GARANTITO
Considerando l'avanzo totale di bilancio, che si attesterebbe per molti anni tra un minimo di 80 miliardi di euro ed un massimo di 95 miliardi, e considerando la Patrimoniale e gli introiti di una dura legge per la confisca dei patrimoni mafiosi (sui 45 miliardi per 20 anni), l'Italia potrebbe contare per un lungo periodo di tempo su una bocca di fuoco aggiuntiva di ben 135 miliardi di Euro, ottenuti senza effetti recessivi e senza svendite del patrimonio pubblico. Come dicevamo in apertura di questa PROPOSTA, avremmo finanche effetti di sostegno della domanda interna, dovuti in buona parte all'introduzione del RMG, una istituzione del Welfare più moderno, presente già da tempo in quasi tutti gli Stati europei, fatta eccezione per Grecia ed Italia, guarda caso, gli Stati più in crisi col debito pubblico. L'introduzione del RMG non peserebbe affatto sui conti, né modificherebbe le poste di bilancio appena dette, in quanto il tutto si risolverebbe sostanzialmente in una partita di giro. Nel caso del RMG, non si tratterebbe affatto di spendere di più, ma solo di spendere meglio alcuni capitoli del bilancio statale. Secondo il Nuovo Partito d'Azione, che è stato il primo partito in Italia a battersi per l'introduzione del Reddito Minimo Garantito (si tratta infatti di un punto presente fin dal 2005), il RMG italiano dovrebbe presentare i seguenti parametri:
-Viene erogato un RMG a 4 milioni di italiani, i più bisognosi;
-L'erogazione è di € 416 mensili (esentasse) per un totale di € 5.000 annui;
-Il sussidio viene erogato a cittadini italiani residenti in Italia e a cittadini stranieri residenti in Italia continuativamente da almeno 15 anni che, superata l'età di 30 anni ed essendo iscritti da almeno 2 anni nelle liste dell'Agenzia per l'Impiego, non abbiano alcun reddito oppure abbiano entrate insufficienti a mantenere uno standard di vita decoroso e dignitoso per sé e per la propria famiglia. In ogni caso, gli over-50 che rientrino nella lista di possibili beneficiari hanno una priorità su tutti gli altri, compatibilmente con la situazione economica evidenziata dai calcoli ISEE;
-Il sussidio viene erogato solo a condizione che il beneficiario si dichiari disponibile a svolgere un lavoro per almeno 10 funzioni o profili professionali. Tali profili vengono selezionati in base ad una lista elaborata dall'Agenzia per l'Impiego, che è l'unico Ente che può avviare questi cittadini al lavoro.
Ai percettori del RMG viene data inoltre la possibilità di integrare il sussidio con altri redditi ed esattamente con redditi di microimpresa supermarginale. Aprendo una Partita Iva con tetto di fatturazione di 8.000 Euro annui, i beneficiari del RMG potranno cumulare i due redditi senza dover rinunciare al primo, ossia al RMG. Tali microimprese -dette supermarginali- sono esentate dai contributi INPS e sono sottoposte ad un regime tributario con aliquota unica del 5%.



domenica 1 luglio 2012

IL FASCINO DELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO

Per l’istituzione di un’imposta ordinaria patrimoniale in vista di un sistema fiscale perequativo. Confronto con Gianni Marongiu, padre dello Statuto dei diritti del contribuente.
La crisi in atto riporta al centro del dibattito la revisione del sistema tributario come fonte di gettito e come strumento per finanziare politiche di welfare.
La recente ristampa di un breve saggio di Luigi Einaudi[1], avente ad oggetto l’imposta patrimoniale, ha offerto lo spunto per una serie di riflessioni sull’introduzione nel nostro sistema di un’imposta che gravi sui patrimoni.
Si tenga presente che la patrimoniale non è per nulla una novità, ma un’idea risalente nel tempo, cionondimeno potrebbe oggi risolvere quel problema di ridistribuzione delle ricchezze che affligge il nostro sistema.
Una distinzione deve esser chiara in premessa: il patrimonio è uno stock, mentre il reddito è un incremento patrimoniale. Il patrimonio ha natura statica, indica ciò che si ha, invece, il reddito è un flusso e indica ciò che si acquisisce.

Gianni Marongiu
Perché un’imposta ordinaria patrimoniale e non straordinaria?
Alla domanda si risponde facilmente citando ancora Einaudi: nel suo libello pubblicato nel 1946, a fronte del tentativo di risollevare l’Italia dalle conseguenze economiche della guerra, egli ipotizza una straordinaria patrimoniale in presenza di un legislatore tributario onesto. In sostanza il prelievo una tantum sui patrimoni, è sostenibile solamente in cambio della garanzia che i redditi futuri non saranno più colpiti dagli innumerevoli balzelli dell’imposizione ordinaria. Un colpo di spugna per sanare il passato. Ma questa è utopia. Storicamente, dopo un sacrificio contingente l’oppressione del fisco non è mai scemata.  Scrive l’economista piemontese: “In Italia nessuno crede, nemmanco a scuoiarlo vivo, che le imposte possano in futuro diminuire”.
Nell’Italia di oggi, strozzata dal debito pubblico, un prelievo straordinario sui patrimoni, sarebbe bruciato in breve e il sollievo sarebbe solo momentaneo, prima della ricaduta.
Professor Marongiu, in Italia esistono già delle imposte patrimoniali…
“Sì, l’IMU e l’imposta successoria, ma anche il canone TV e il bollo auto che si pagano per il solo possesso di un apparecchio tv o di un’automobile. L’IMU cosiddetta sperimentale, di innovativo non ha proprio nulla, tantomeno realizza il federalismo fiscale. Con l’IMU i comuni hanno scarsa possibilità di scelta, lo Stato, seppur legittimamente, predetermina quasi tutto e tiene per sé una consistente parte del gettito, inoltre i comuni non hanno la facoltà, ma l’obbligo di tassare la prima casa”.
Lei fu molto critico quando il Governo Berlusconi abolì l’imposta successoria, è vero? “Assolutamente sì, il gettito che perdemmo fu ingentissimo, inoltre venne meno quell’ultimo filtro che consentiva di tassare la ricchezza laddove qualcuno nella catena dei passaggi avesse scavalcato il fisco. Si badi, la successione dovrebbe essere un’ imposta uguagliatrice per il merito. Cioè colpire di più la ricchezza immeritata, quella, per così dire, trovata,non guadagnata e di meno quella costruita col lavoro. In Italia c’è una differenza troppo esigua tra le aliquote applicate alle successioni in linea diretta e quelle applicate alle successioni tra collaterali. Spesso nelle successioni in linea diretta il figlio ha partecipato in gran parte al consolidarsi del patrimonio che eredita. Basti pensare, che nel nostro Paese, i figli sovente lavorano nell’impresa famigliare: risulta evidente l’iniquità di una tassazione che colpisce un patrimonio in parte guadagnato e colpisce relativamente poco il patrimonio ereditato dallo zio d’America. Occorre penalizzare le successioni tra collaterali con aliquote progressive”.
Professore, lei quindi è favorevole all’istituzione di una imposta ordinaria patrimoniale?
“Certamente, ricordo che già in sede di lavori preparatori per la riforma tributaria del 71’-73’, Cesare Cosciani propose l’ordinaria patrimoniale con aliquota moderata, poi l’ipotesi sfumò. L’obiettivo della patrimoniale dev’essere l’equità, vale a dire una distinzione quantitativa e qualitativa dei beni. I patrimoni, come è ovvio, non hanno tutti la stessa consistenza e la stessa qualità, pertanto qualcosa bisogna far pagare a tutti,ma in modo proporzionale. Immaginiamo, come diceva lo stesso Einaudi, che l’ordinamento fiscale sia una pianura. Su questa pianura devono sorgere i tre pilastri del sistema: la tassazione dei redditi, dei patrimoni e dei consumi. Solo così si costruisce una rete, per cui un fattore di capacità contributiva può essere sempre intercettato ed equamente tassato”.

Per comprendere le ragioni dell’ordinaria patrimoniale oggi, sono ancora utilissime le sagge parole di Cesare Cosciani, che negli anni Quaranta scriveva: “L’imposta ordinaria sul patrimonio può venir giustificata in due casi: a) quando il sistema economico si trova ancora in una fase molto arretrata ed il sistema tributario è semplice e rudimentale […] b) quando il sistema economico si trova in una fase evoluta, l’imposta patrimoniale coesiste con quella sul reddito ed assume uno spiccato carattere di complementarietà rispetto alle altre imposte dirette. Il ritorno dell’imposta patrimoniale nei sistemi tributari, è, del resto, pienamente giustificato: man mano che il sistema economico si fa più complesso e che la percentuale di reddito nazionale annualmente prelevato dallo Stato si fa sempre più elevata, sorgono nuove esigenze: come quella di basare l’imposizione oltre che su elemento oggettivi, reali, anche su elementi soggettivi, personali che […] possono rendere sempre più divergenti le capacità contributive dei singoli a parità di condizioni puramente obbiettive”[2]. Il secondo caso, sembra una nitida fotografia dell’Italia attuale.
Marongiu, è evidente che la precarietà del lavoro e la crisi del welfare classico impongano nuove forme di integrazione del reddito, il sistema tributario che compito deve avere?
“Quello di reperire le risorse, e di porre l’attenzione sulla famiglia, sulle cosiddette economie di scala. L’ordinamento tributario deve esercitare fascino sul contribuente, deve cioè rispondere alla domanda sul perché si pagano i tributi, il cittadino deve riscontrare mutamenti tangibili a fronte del suo sforzo contributivo.
La cosiddetta compliance deve mirare alla solidarietà fiscale, vale a dire che gli adempimenti devono avere finalità extrafiscali, tra cui quella di consentire ai giovani di costruire il futuro.
Il nostro è un paese a natalità zero, governato spesso da persone che vivono fuori dal tempo, si deve aver ben presente che la denatalità dell’Italia ci costa mezzo punto di PIL ogni anno. Un fisco che pensa al domani può fornire le risorse necessarie per le politiche di welfare, non solo con la patrimoniale o con tributi di scopo, ma anche con la revisione periodica di tutte le leggi di esenzione, deduzione ed agevolazione che sottraggono base imponibile; nondimeno sarebbe necessario ridurre o abolire tutte quelle manomorte tributarie come l’imposta di bollo o di registro che sfavoriscono la circolazione dei beni; inoltre è assolutamente anacronistica la sopravvivenza di alcuni regimi privilegiati come le regioni a statuto speciale, oggi le condizioni che ne giustificarono la creazione sono ampiamente superate”
Sembra dunque coerente, anche alla luce di una lettura critica e contestuale di Einaudi, riaprire la strada indicata da Cosciani, circa la complementarietà dell’imposta ordinaria patrimoniale.

Carlo Rovello 



[1] Luigi Einaudi, L’imposta patrimoniale, Chiarelettere, 2011
[2] Cesare Cosciani, L’imposta ordinaria sul patrimonio nella teoria finanziaria, S. T. E. U. – Urbino - 1940

giovedì 7 giugno 2012

élites e cambiamento


Grande è il disordine sotto il cielo del nostro paese ed io ho intenzione di soffermarmi su quello che, mi pare, un non nuovo problema chiave, ovvero la questione delle èlites politiche e dei loro meccanismi di selezione.

Si tratta di un vecchissimo problema che sorge immediatamente dopo l'unità dell'Italia e mi riprometto di dare a questo studio maggiore organicità, soprattutto sul piano teorico. Come se non bastasse i classici che si sono occupati di elitismo sono italiani (cito Pareto, Mosca, Michels, Filippo Burzio), per non parlare di autori più schierati politicamente come Gobetti, Carlo Rosselli e Bobbio stesso.

L'Italia, di fronte ad una crisi economica di portata storica, ha inteso, tramite il Presidente della Repubblica Napolitano e l'accordo tra i partiti di un'inedita maggioranza parlamentare, affidare ad un gruppo di tecnici il governo del paese. Una presunta competenza tecnica è stata la legittimazione per una compagine di governo in nessun modo espressione del voto democratico, se non attraverso una delega del Parlamento, a sua volta espressione di una “casta” di nominati dai partiti, piuttosto che di una normale scelta democratica dei cittadini, attraverso il voto.

Al momento dunque alcuni tecnici (professori universitari o funzionari dello stato) sono delegati a gestire le sorti e quindi il bene comune del paese con pretesa equanimità. Questa ragion di stato dovrebbe prevalere, in virtù dei curricula dei membri del governo rispetto agli interessi particolaristici di cui partiti e forze sociali sarebbero espressione. Il potere esecutivo del nostro stato è affidato alla presunta neutralità della tecnica, bypassando apparentemente ogni forma di partigianeria. Ma come ben sappiamo non esiste una tecnicità, tanto meno se economica, che possa ricomporre magicamente le contraddizioni che un paese come il nostro manifesta. Le classi sociali, seppur compresse e frammentate fanno il loro gioco, esprimono interessi e punti di vista che nessuna compagine governativa, che da questi interessi è lontana potrà ricomporre in modo solo presuntivamente neutrale. In buona sostanza poi la tecnica se non collegata politicamente alle parti sociali si schiera con le componenti più robuste della società.

Dopo i disastri della seconda repubblica e i rispettivi partiti, le cui èlites selezionate da un voto fasullo, si sono rivelate più o meno tutte incapaci di governare.



Per non ricevere accuse di cerchiobottismo, dirò che questa inadeguatezza ha avuto il suo acme nei governi di centro destra e dei suoi inquietanti ministri, oltre beninteso del suo capo Burlesque.

A questo punto, un del tutto impossibile buon governo dei tecnici avrebbe potuto alimentare un auspicabile ricambio delle èlites per quando finalmente si andrà a votare. Ma pare problematico, dopo le incertezze programmatiche gli errori e soprattutto le omissioni (penso all'imposta patrimoniale e al reddito minimo di cittadinanza) del governo riconoscere in questi tecnici una classe politica di ricambio. Nascosta dall'apparente neutralità c'è la rappresentanza di un coacervo di interessi più o meno forti, di lobbies organizzate che non possono non far pagare la crisi agli strati sociali più deboli e indifesi. I membri dell'attuale formazione di governo non si configurano come attori di un possibile ricambio delle èlites.

Dal canto loro i partiti, che si guardano bene dal palesare alleanze e spunti programmatici, pare siano intenzionati ad affidare alla bacchetta magica delle primarie le sorti di un ricambio di una, palesemente claudicante classe politica. Su questo mi riservo di intervenire in seguito. Così come in seguito mi riprometto di tornare ad affrontare il tema delle liste civiche e degli strumenti di selezione nel Movimento 5 Stelle.





Ugo Tombesi                                   Savona7/6/2012

mercoledì 23 maggio 2012

Sulle tracce di Tenco


Ho scritto questo brano dopo l’ascolto di un notturno radiofonico dedicato a Luigi Tenco e dopo un pomeriggio passato a Ricaldone. Alcuni racconti di mio padre mi hanno dato un movente in più.   Era il gennaio 1997.

Non si incontra quasi nessuno camminando fra queste vie scoscese, eppure Acqui Terme è lontana solo 8 km. Ricaldone sta su un pendio, c’è la grande cantina sociale, tutta grigia, intorno tetti di coppi sparpagliati e più oltre solo vigneti, immensi.

Il pomeriggio è tiepido nonostante sia il 31 di Gennaio; sono partito da solo con la mia auto, ho già visitato il Cimitero di Cassine: cerco una tomba, quella di Luigi Tenco.

La sera precedente ho ascoltato una trasmissione radiofonica in cui un giornalista ha rievocato la sua tragica scomparsa ancora avvolta nel mistero. La vicenda mi aveva sempre colpito, come mi colpisce la tristezza insostenibile di quelle poche canzoni sue che io conosco, di lui mi colpisce lo sguardo, che è un’occhiata fissa, decisa e un po’ inquietante. Voglio saperne di più, inoltre ho il pretesto di risolvere una questione sollevata da mio padre, il quale da sempre sostiene che un amico di famiglia aveva posseduto l’Alfa Romeo GT del cantautore.

Eccomi di fronte al piccolo cimitero di Ricaldone, so che deve essere sepolto lì per forza, entro e vado subito verso la mia sinistra; all’improvviso mi volto e incrocio quello sguardo tra mazzi di fiori; rimango immobile. Nel loculo a fianco c’è la madre, gli somiglia, c’è scritto “vedova Tenco”.

 Leggo e rileggo i nomi e le date, una corona di fiori porta la dedica: “ Associazione culturale Tenco Ricaldone”, sicuramente l’avevano deposta il giorno 27 per ricordare i trent’anni dalla morte. Penso subito che al paese troverò l’associazione e potrò avere altre notizie, invece non è così facile. Chiedo ad un uomo anziano e mi risponde che forse al bar qualcuno potrebbe sapere qualcosa.

E’ il tipico bar di paese dove si trovano sempre le stesse persone, figure grottesche annebbiate dal fumo e dall’alcool. Entro nella indifferenza più totale, bevo un caffè, poi domando dell’associazione. La barista chiama un uomo che sta seduto alle mie spalle il quale conosce i nomi di alcune persone membri dell’associazione pro Tenco. Mi scrivono i numeri telefonici, ringrazio e lascio come mancia il resto del caffè, rimangono tutti molto più stupiti di quando ero entrato. Ho la sensazione che in quel posto le giornate debbano essere di una noia mortale, lente e tutte uguali, proprio come diceva Tenco nelle sue canzoni, ma chissà se era così anche ai sui tempi…

Entro in una cabina e compongo uno di quei numeri, mi risponde una donna che alla domanda dell’automobile posseduta da Tenco risponde: “Nessuno se lo ricorda, che cosa vuole è morto da trent’anni!”. Quella frase mi urta, capisco che al paese a nessuno importa di Luigi. Vado con l’altro numero, stavolta la voce è più gentile e mi indica almeno che la sede dell’associazione è nel municipio: già, dovevo immaginarlo. Entro e su una porta leggo l’iscrizione “Associazione Culturale Tenco”, qualcuno ha aggiunto la frase “a rubare” dopo Associazione…La sento come una mancanza di rispetto, ma non conosco le vicende del luogo.

Il municipio sembra deserto, poi salgo al piano superiore dove vengo ricevuto da un uomo in giacca e cravatta, forse un impiegato, spiego brevemente la faccenda e dopo una telefonata mi consiglia di rivolgermi al fratello, il signor Valentino Tenco, che risiede a Recco.

Torno a casa soddisfatto, al cimitero ho provato una certa emozione, non mi resta che telefonare al signor Valentino. Sono fortunato, mi risponde subito, io temo di seccarlo con quella domanda banale, invece è molto disponibile. Mi conferma che suo fratello Luigi aveva posseduto una GT verde bottiglia, anche il colore corrisponde, poi aggiunge: “ Io la odiavo perché lo stancava molto”.

Carlo Rovello

sabato 28 aprile 2012

Documento in vista del congresso federale della FIAP nazionale


Carissimi,

il nostro ingresso nella F.i.a.p. è recente e bassa l’età media dei componenti dei nostri direttivi. L’inesperienza e la giovinezza hanno pro e contro: l’entusiasmo e l’ingenuità, la freschezza e l’irruenza, la vitalità e la sfrontatezza. Speriamo che i vantaggi che apportiamo alla Federazione siano, oggi come domani, superiori agli errori. Da noi forse, in virtù della nostra giovane età, ci si aspetterebbe una richiesta di apertura della F.i.a.p., magari in relazione ad una superficiale necessità di svecchiamento. Noi invece non siamo qui a chiedere che la F.i.a.p. si attualizzi e si interessi ai grandi temi contemporanei come l’ambiente, il lavoro e la legalità, nel tentativo comprensibile di combattere la cattiva politica. Crediamo che in un’associazione partigiana certe questioni sia lecito affrontarle ma siano da porre in secondo piano rispetto al tema della Resistenza. Il tentativo delle associazioni partigiane di darsi una nuova funzione negli ultimi anni è rispettabile ma non è il nostro auspicio. E’ vero purtroppo che la schiera dei partigiani si fa di anno in anno meno folta e che le associazioni sono animate, fatalmente e sempre più massicciamente, da persone che non hanno fatto la Resistenza, non hanno vissuto la guerra e patito il ventennio sulla propria pelle. Proprio per questo le associazioni partigiane devono, a nostro avviso, mantenere oggi più che mai, la memoria dei fatti resistenziali. Una memoria corretta e onesta, per quanto umanamente possibile, veritiera e giusta. L’antifascismo è solo e soltanto uguale a sé stesso: ogni tentativo di far coincidere la lotta di liberazione con una battaglia di altra natura crea forzature e ogni esperimento di sovrapposizione della Resistenza a un qualche altro valore ideale produce falsi. Un nuovo senso ce lo forniscono i moderni fascismi alimentatati da odiosi revisionismi. Nuova linfa ce la procura il desiderio di dipingere una Resistenza sempre più pluralista e sfaccettata, lontana dal monolitismo di certa vulgata e lontana dalla stantia nenia della retorica. Insomma spolveriamo i drappi dal conformismo monocolore e dalla vuotezza della forma ma non riponiamoli nell’armadio della storia.

A nostro avviso per affrontare la contemporaneità in maniera efficace dobbiamo essere quello che siamo, ricordando sempre di più le radici socialiste, repubblicane, liberali, libertarie e socialiste-liberali della nostra federazione. Le idee di laicismo, federalismo e antistalinismo con le quali la F.i.a.p. è nata nel 1949, differenziandosi dalle posizioni delle altre associazioni, sono concetti da conservare e rivitalizzare. La completa e totale collaborazione con l’A.n.p.i. e la F.i.v.l. e l’importanza capitale di unità antifascista non deve farci rinnegare le nostre origini. Queste nozioni non sono ferri vecchi della storia o attrezzi di mestieri ormai superati.  Il concetto di laicità non consiste solo nell’idea, peraltro attualissima, di indipendenza della politica italiana dalla Chiesa Cattolica e dallo stato estero del Vaticano. L’idea di laicità, che significa repulsione e rifiuto per ogni fanatismo ideologico-religioso e per ogni verità dogmatica, ha un senso più vasto se correlata alla nostra battaglia pluralista. Il concetto di federalismo non è solo un modo di governare la cosa pubblica assegnando maggiore autonomia alle amministrazioni locali. L’idea di federalismo sottende nozioni come anticentralismo, antiverticismo e antidirigismo connesse al più ampio significato di decentramento, dal municipalismo alla democrazia diretta passando per l’autogestione. In un’epoca in cui la teoria federalista è stata portata alla deriva dalla xenofobia e dal pressapochismo non crediamo occorra rispondere con patriottismi a base nazionale ma sia necessario riprendere in mano le teorie federaliste che dal Risorgimento sono giunte fino all’antifascismo della nostra area. Il concetto di antistalinismo non è solo una condanna di una storia passata e fortunatamente giunta al termine. L’idea di antistalinismo, unita a quella di antifascismo, ci fornisce l’antidoto ad ogni tipo di autoritarismo storico o contemporaneo, ad ogni regime dittatoriale di qualsiasi natura esso sia. Questi sono i punti principali, a nostro avviso, che accomunano il pensiero socialista-liberale e quello socialista-libertario. Questi sono i punti sui quali Rosselli e Berneri si trovavano d’accordo e che hanno animato, oltre al Partito d’Azione e alle forze politiche in cui i partigiani F.i.a.p. si riconoscevano, anche tre fondamentali esperienze socioculturali del nostro raggruppamento: il Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli, il Movimento Comunità di Adriano Olivetti e il Centro di Orientamento Sociale di Aldo Capitini.

Chiediamo infine di rimanere strettamente vincolati al motto “Giustizia e Libertà” per quello che ha rappresentato l’omonima brigata nella Resistenza ma anche e soprattutto per quello che significa profondamente questa espressione. La giustizia senza libertà è sopraffazione. La libertà senza giustizia è privilegio. Una è connaturata all’altra. La giustizia senza libertà diventa ingiusta e la libertà senza giustizia liberticida. Entrambe sono inutili se non coniugate.

F.I.A.P. Nicola Panevino (Valbormida)-Circolo GL Cristoforo Astengo (Savona)

martedì 24 aprile 2012


Giustizia e Libertà Cristoforo Astengo contro il grigio conformismo di destra

Nell’ambito del dibattito sul caso Ghersi ci è stato rimproverato di non condannare, con la stessa fermezza, le atrocità del fascismo e le efferatezze della nostra parte, ovvero del comunismo. Vogliamo ricordare, non credevamo fosse necessario, che Giustizia e Libertà era una formazione partigiana di area liberalsocialista legata al Partito D’Azione e che la F.i.a.p., fondata da Ferruccio Parri, raccoglie le anime socialista, liberale, repubblicana, anarchica e azionista ma non quella comunista. I partigiani di cui cerchiamo di approfondire la conoscenza e diffondere le biografie sono, per fare solo alcuni esempi, Italo Oxilia, il marinaio socialista protagonista della fuga di Turati e della fuga da Lipari; Antonio Catte, il giudice azionista scelto, a guerra finita, per il Tribunale speciale di Genova; Francesco Bruzzone, il partigiano repubblicano primo prefetto della Savona liberata; Umberto Marzocchi, l’antifascista anarchico che ha combattuto in Italia, Francia e Spagna dagli Arditi del popolo alla guerra contro Franco; Aldo Ronzello, il partigiano liberale, ultima vittima tra le file della Resistenza savonese. Non abbiamo quindi nessuna remora a condannare totalitarismi di qualsiasi colore essi siano, compreso il rosso. Rimandiamo però al mittente polemiche di questo genere che, per quanto stantie e sterili, vanno rivolte evidentemente in altre sedi.

La sede de La Destra invece è stata fatta oggetto di vandalismi come peraltro i manifesti su Giuseppina Ghersi. Prendiamo le distanze dagli imbrattamenti ma contemporaneamente condanniamo il tipo di arredi della sede di quel partito: quadretti con raffigurazioni della X Mas, volti di Mussolini e fasci littori. Ognuno è libero di avere i suoi miti e i suoi soprammobili ma risulta strano credere che nelle diatribe recenti non vi sia il desiderio di rivalutare i repubblichini. Nel sito dei Ragazzi del Manfrei, poi, si dipinge il ventennio solamente come un periodo in cui lo stimato Duce realizza mirabolanti riforme, la seconda guerra mondiale come un susseguirsi inspiegabile di bombardamenti americani e la storia resistenziale come una sequela monolitica di crimini. Insomma a leggere i loro scritti non si capisce quale sia stata la missione del partigianato e per quale ragione gli alleati siano sbarcati in Italia: nessun accenno alle persecuzioni liberticide e all’invivibile natura del regime. Insomma un sito ricolmo di “apologia del fascismo”, reato per la legge italiana, come il vandalismo. Ma come vandalismo forse si può anche giudicare il fatto che negli scorsi mesi sia stata tappezzata illegalmente la città con adesivi di partito: evidentemente il doppiopesismo tanto criticato negli altri non viene ravvisato in casa propria. Torniamo a cose serie: al nostro invito di celebrare il 25 aprile hanno risposto di festeggiare la ricorrenza ad Altare dove, nel cimitero del paese, si onora contemporaneamente la memoria dei partigiani e dei ragazzi di Salò. Evitiamo le ipocrisie, i Ragazzi del Manfrei e i ragazzi de La Destra festeggiano solo i ragazzi di Salò. Ognuno è libero di ricordare chi vuole ma noi, al contrario, saremo sinceri: festeggiamo solo la memoria dei partigiani.

Sul caso Ghersi in senso stretto ribadiamo la condanna dell’accaduto e ripetiamo di sentire il bisogno di un serio studio storico. Di una cosa siamo certi: i due partigiani a cui abbiamo dedicato le nostre sezioni non sono senza dubbio i colpevoli dell’omicidio, visto che sono stati assassinati dai nazifascisti il 27 dicembre del 1943 (Cristoforo Astengo) e il 23 marzo del 1945 (Nicola Panevino). Infine l’edificio nel quale è stata barbaramente uccisa la bambina è lo stesso nel quale, il 12 novembre del 1974, è esplosa la quarta di dodici bombe collocate a Savona e dintorni. Pochi giorni dopo, a seguito dell’esplosione del settimo ordigno in un palazzo di Via Giacchero, muore Fanny Dallari. L’anziana signora di ottantadue anni è a nostro avviso innocente come lo è una ragazzina: ma non ci sembra che i ragazzi del Manfrei e i ragazzi de La Destra si siano mai battuti per conoscere la verità su episodi simili capitati in tempo di pace a vittime inermi e civili. Non ci risulta poi che nessuna associazione antifascista abbia utilizzato in modo strumentale e utilitaristico l’immagine e la storia della povera Fanny Dallari per ottener la verità giuridica sul fatto, cosa che prescinde dal pur doloroso caso singolo. Come mai la giusta curiosità intellettuale per i misteri della storia recente savonese non spinge i ragazzi ad interessarsi del misterioso e oscuro piano terroristico che ha sconvolto Savona quasi trent’anni dopo la fine della guerra? Fin troppo facile da capire. L’unica pista plausibile per quegli attentati è infatti quella nera, la stessa delle altre bombe della strategia della tensione (da Piazza Fontana a Piazza della Loggia) e come nei casi più noti è rimasta impunita a livello giudiziario ma accertata sul piano storiografico: scandalosamente infatti non si conoscono gli autori materiali ma è lapalissiana la committenza ideologica. Dobbiamo pensare che per rispondere a quello che viene definito il conformismo dei “gendarmi della memoria rossa” abbiano deciso di controbattere con il conformismo della “nera caserma dell’oblio”?

Circolo Giustizia e Libertà Cristoforo Astengo

lunedì 16 aprile 2012

Ai ragazzi del Manfrei e ai ragazzi de La Destra a proposito dei manifesti su Giuseppina Ghersi

L'omicidio della tredicenne Giuseppina Ghersi è stato un errore e un orrore. Il responsabile diretto di questo atto ignobile è solo e soltanto che si è reso colpevole del crimine. Per ora le diverse ricostruzioni della vicenda non fanno che creare confusione e divisione sull’accaduto. Le modalità, i moventi e le dinamiche di questo barbaro assassinio è auspicabile vengano quindi analizzate da un serio e imparziale studio storico, documentato e circostanziato. Ma i manifesti ad effetto, realizzati quindici giorni prima del 25 aprile, servono a riequilibrare il giudizio storiografico sugli eventi postbellici savonesi o solo a scandalizzare l’opinione pubblica, utilizzando cinicamente la sortita come spot pubblicitario a fini propagandistici? Il tentativo indiretto, ma evidente, di riabilitare con questa storia la posizione dei repubblichini e contemporaneamente di affossare la dignità dei partigiani è infattibile. Il ruolo della resistenza è stato quello di affrancare l’Italia da una dittatura e la condanna di un fatto singolo non inficia per nulla la giustezza della lotta di liberazione. D’altro canto, il ruolo dei ragazzi di Salò è stato quello di tutelare uno stanco regime dispotico e la morte della Ghersi non allevia per niente la brutalità della dittatura mussoliniana. A voler poi attribuire la colpevolezza fattiva dell’assassinio della ragazzina a tutta la resistenza di Savona e la complicità morale a tutto l’antifascismo savonese si sbaglia due volte. In prima analisi perché, come già detto, quel crimine è l’atto di individualità partigiane, non genericamente del movimento di liberazione. In secondo luogo perché a voler trovare, a livello culturale, le radici della violenza, della guerra e delle sue odiose degenerazioni, si deve indagare la dittatura fascista con le sue leggi liberticide, le sue persecuzioni, le sue galere, i suoi esili, i suoi omicidi e le sue deportazioni. La guerra è una cosa orrenda non solo per le vittime che lascia a terra ma per l’imbarbarimento che comporta e le violenze che innesca.
Vogliamo far notare che nel ventennio e durante la guerra, ci sono stati centinaia di migliaia di errori e orrori, come quello in questione, commessi dal nazifascismo. Ogni caso singolo è insopportabile e non è giustificabile. Ma quando l’inciviltà si innalza a sistema matematico, a persecuzione etnica, politica e religiosa il dramma umano personale diventa una tragedia di popoli, e in quanto tragedia di popoli viene indagato dalla Storia con un’attenzione maggiore rispetto agli isolati drammi umani. Noi condanniamo allo stesso tempo tutte le stragi di civili, tutti gli omicidi di innocenti e tutti i totalitarismi. Voi ragazzi del Mafrei? L’assassinio pur esecrabile di una ragazzina di tredici anni non è accostabile allo sterminio organizzato e preciso di centinaia di migliaia di bambine nei campi di concentramento. Ogni giorno di una dittatura è caratterizzato da crimini di questo genere e ogni giorno di guerra si macchia di tragedie simili. Essere sensibili ad un caso singolo e tralasciare la carneficina continua e incessante del regime, che quella barbarie ha scatenato, è una scorrettezza. Volerla paragonare? Un’assurdità. Volerla equiparare? Un’idiozia. Allora, nel 2012, in virtù della vostra tanto agognata “pacificazione nazionale” e del vostro spirito democratico, ve la sentite, in tutta serenità, di condannare pubblicamente il fascismo come una dittatura violenta e autoritaria, assassina e criminale? Ce la fate a prendere le distanze in maniera totale e globale da quella dolorosa e tragica esperienza? Riusciranno i simpatizzanti della vostra battaglia a riporre fez e baschi nel baule? Noi condanniamo nettamente il fatto singolo. Sta a voi il fardello più pesante e il compito più oneroso. Pensate a centinaia di migliaia di ragazzine, come Giuseppina, uccise metodicamente dalla forza politica brutale alla quale il partito da cui discende La Destra, l’MSI, si rifaceva in modo chiaro e netto. Sì perché l’altra destra, quella liberale, è legata ad un’altra storia: Aldo Ronzello, partigiano savonese e esponente del PLI nel CLN della nostra città, è stato ucciso il 25 aprile del 1945 da un cecchino fascista, mentre cercava di appendere un manifesto, sull’avvenuta liberazione, all’incrocio di Via Paleocapa e Corso Italia. Ma questa vicenda non appartiene appunto alla storia de La Destra e di queste vittime di “destra”, uccise a guerra finita, voi non vi occupate. Il perché è fin troppo chiaro. Si ripete che sono passati decenni e che si devono superare le divisioni: noi pensiamo che proprio perché ormai sono trascorsi quasi 70 anni dalla liberazione dovrebbe essere condiviso, per spirito di modernità e di pacificazione, il completo rifiuto del fascismo. Ad essere legati ad antichi retaggi e superate gendarmerie intellettuali sono per primi e prima di tutto coloro che non riescono a liberare il proprio panorama culturale dai legami con un regime dittatoriale. Ma sicuramente ci sbagliamo e i Ragazzi del Mafrei e i ragazzi de La Destra non avranno difficoltà a definirsi fieri antifascisti e il 25 aprile festeggeranno, come tutte le persone che amano la libertà di pensiero e di azione, la festa della liberazione.
Circolo Giustizia e Libertà Cristoforo Astengo-Federazione Italiana Associazioni Partigiane Nicola Panevino