sabato 28 aprile 2012

Documento in vista del congresso federale della FIAP nazionale


Carissimi,

il nostro ingresso nella F.i.a.p. è recente e bassa l’età media dei componenti dei nostri direttivi. L’inesperienza e la giovinezza hanno pro e contro: l’entusiasmo e l’ingenuità, la freschezza e l’irruenza, la vitalità e la sfrontatezza. Speriamo che i vantaggi che apportiamo alla Federazione siano, oggi come domani, superiori agli errori. Da noi forse, in virtù della nostra giovane età, ci si aspetterebbe una richiesta di apertura della F.i.a.p., magari in relazione ad una superficiale necessità di svecchiamento. Noi invece non siamo qui a chiedere che la F.i.a.p. si attualizzi e si interessi ai grandi temi contemporanei come l’ambiente, il lavoro e la legalità, nel tentativo comprensibile di combattere la cattiva politica. Crediamo che in un’associazione partigiana certe questioni sia lecito affrontarle ma siano da porre in secondo piano rispetto al tema della Resistenza. Il tentativo delle associazioni partigiane di darsi una nuova funzione negli ultimi anni è rispettabile ma non è il nostro auspicio. E’ vero purtroppo che la schiera dei partigiani si fa di anno in anno meno folta e che le associazioni sono animate, fatalmente e sempre più massicciamente, da persone che non hanno fatto la Resistenza, non hanno vissuto la guerra e patito il ventennio sulla propria pelle. Proprio per questo le associazioni partigiane devono, a nostro avviso, mantenere oggi più che mai, la memoria dei fatti resistenziali. Una memoria corretta e onesta, per quanto umanamente possibile, veritiera e giusta. L’antifascismo è solo e soltanto uguale a sé stesso: ogni tentativo di far coincidere la lotta di liberazione con una battaglia di altra natura crea forzature e ogni esperimento di sovrapposizione della Resistenza a un qualche altro valore ideale produce falsi. Un nuovo senso ce lo forniscono i moderni fascismi alimentatati da odiosi revisionismi. Nuova linfa ce la procura il desiderio di dipingere una Resistenza sempre più pluralista e sfaccettata, lontana dal monolitismo di certa vulgata e lontana dalla stantia nenia della retorica. Insomma spolveriamo i drappi dal conformismo monocolore e dalla vuotezza della forma ma non riponiamoli nell’armadio della storia.

A nostro avviso per affrontare la contemporaneità in maniera efficace dobbiamo essere quello che siamo, ricordando sempre di più le radici socialiste, repubblicane, liberali, libertarie e socialiste-liberali della nostra federazione. Le idee di laicismo, federalismo e antistalinismo con le quali la F.i.a.p. è nata nel 1949, differenziandosi dalle posizioni delle altre associazioni, sono concetti da conservare e rivitalizzare. La completa e totale collaborazione con l’A.n.p.i. e la F.i.v.l. e l’importanza capitale di unità antifascista non deve farci rinnegare le nostre origini. Queste nozioni non sono ferri vecchi della storia o attrezzi di mestieri ormai superati.  Il concetto di laicità non consiste solo nell’idea, peraltro attualissima, di indipendenza della politica italiana dalla Chiesa Cattolica e dallo stato estero del Vaticano. L’idea di laicità, che significa repulsione e rifiuto per ogni fanatismo ideologico-religioso e per ogni verità dogmatica, ha un senso più vasto se correlata alla nostra battaglia pluralista. Il concetto di federalismo non è solo un modo di governare la cosa pubblica assegnando maggiore autonomia alle amministrazioni locali. L’idea di federalismo sottende nozioni come anticentralismo, antiverticismo e antidirigismo connesse al più ampio significato di decentramento, dal municipalismo alla democrazia diretta passando per l’autogestione. In un’epoca in cui la teoria federalista è stata portata alla deriva dalla xenofobia e dal pressapochismo non crediamo occorra rispondere con patriottismi a base nazionale ma sia necessario riprendere in mano le teorie federaliste che dal Risorgimento sono giunte fino all’antifascismo della nostra area. Il concetto di antistalinismo non è solo una condanna di una storia passata e fortunatamente giunta al termine. L’idea di antistalinismo, unita a quella di antifascismo, ci fornisce l’antidoto ad ogni tipo di autoritarismo storico o contemporaneo, ad ogni regime dittatoriale di qualsiasi natura esso sia. Questi sono i punti principali, a nostro avviso, che accomunano il pensiero socialista-liberale e quello socialista-libertario. Questi sono i punti sui quali Rosselli e Berneri si trovavano d’accordo e che hanno animato, oltre al Partito d’Azione e alle forze politiche in cui i partigiani F.i.a.p. si riconoscevano, anche tre fondamentali esperienze socioculturali del nostro raggruppamento: il Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli, il Movimento Comunità di Adriano Olivetti e il Centro di Orientamento Sociale di Aldo Capitini.

Chiediamo infine di rimanere strettamente vincolati al motto “Giustizia e Libertà” per quello che ha rappresentato l’omonima brigata nella Resistenza ma anche e soprattutto per quello che significa profondamente questa espressione. La giustizia senza libertà è sopraffazione. La libertà senza giustizia è privilegio. Una è connaturata all’altra. La giustizia senza libertà diventa ingiusta e la libertà senza giustizia liberticida. Entrambe sono inutili se non coniugate.

F.I.A.P. Nicola Panevino (Valbormida)-Circolo GL Cristoforo Astengo (Savona)

martedì 24 aprile 2012


Giustizia e Libertà Cristoforo Astengo contro il grigio conformismo di destra

Nell’ambito del dibattito sul caso Ghersi ci è stato rimproverato di non condannare, con la stessa fermezza, le atrocità del fascismo e le efferatezze della nostra parte, ovvero del comunismo. Vogliamo ricordare, non credevamo fosse necessario, che Giustizia e Libertà era una formazione partigiana di area liberalsocialista legata al Partito D’Azione e che la F.i.a.p., fondata da Ferruccio Parri, raccoglie le anime socialista, liberale, repubblicana, anarchica e azionista ma non quella comunista. I partigiani di cui cerchiamo di approfondire la conoscenza e diffondere le biografie sono, per fare solo alcuni esempi, Italo Oxilia, il marinaio socialista protagonista della fuga di Turati e della fuga da Lipari; Antonio Catte, il giudice azionista scelto, a guerra finita, per il Tribunale speciale di Genova; Francesco Bruzzone, il partigiano repubblicano primo prefetto della Savona liberata; Umberto Marzocchi, l’antifascista anarchico che ha combattuto in Italia, Francia e Spagna dagli Arditi del popolo alla guerra contro Franco; Aldo Ronzello, il partigiano liberale, ultima vittima tra le file della Resistenza savonese. Non abbiamo quindi nessuna remora a condannare totalitarismi di qualsiasi colore essi siano, compreso il rosso. Rimandiamo però al mittente polemiche di questo genere che, per quanto stantie e sterili, vanno rivolte evidentemente in altre sedi.

La sede de La Destra invece è stata fatta oggetto di vandalismi come peraltro i manifesti su Giuseppina Ghersi. Prendiamo le distanze dagli imbrattamenti ma contemporaneamente condanniamo il tipo di arredi della sede di quel partito: quadretti con raffigurazioni della X Mas, volti di Mussolini e fasci littori. Ognuno è libero di avere i suoi miti e i suoi soprammobili ma risulta strano credere che nelle diatribe recenti non vi sia il desiderio di rivalutare i repubblichini. Nel sito dei Ragazzi del Manfrei, poi, si dipinge il ventennio solamente come un periodo in cui lo stimato Duce realizza mirabolanti riforme, la seconda guerra mondiale come un susseguirsi inspiegabile di bombardamenti americani e la storia resistenziale come una sequela monolitica di crimini. Insomma a leggere i loro scritti non si capisce quale sia stata la missione del partigianato e per quale ragione gli alleati siano sbarcati in Italia: nessun accenno alle persecuzioni liberticide e all’invivibile natura del regime. Insomma un sito ricolmo di “apologia del fascismo”, reato per la legge italiana, come il vandalismo. Ma come vandalismo forse si può anche giudicare il fatto che negli scorsi mesi sia stata tappezzata illegalmente la città con adesivi di partito: evidentemente il doppiopesismo tanto criticato negli altri non viene ravvisato in casa propria. Torniamo a cose serie: al nostro invito di celebrare il 25 aprile hanno risposto di festeggiare la ricorrenza ad Altare dove, nel cimitero del paese, si onora contemporaneamente la memoria dei partigiani e dei ragazzi di Salò. Evitiamo le ipocrisie, i Ragazzi del Manfrei e i ragazzi de La Destra festeggiano solo i ragazzi di Salò. Ognuno è libero di ricordare chi vuole ma noi, al contrario, saremo sinceri: festeggiamo solo la memoria dei partigiani.

Sul caso Ghersi in senso stretto ribadiamo la condanna dell’accaduto e ripetiamo di sentire il bisogno di un serio studio storico. Di una cosa siamo certi: i due partigiani a cui abbiamo dedicato le nostre sezioni non sono senza dubbio i colpevoli dell’omicidio, visto che sono stati assassinati dai nazifascisti il 27 dicembre del 1943 (Cristoforo Astengo) e il 23 marzo del 1945 (Nicola Panevino). Infine l’edificio nel quale è stata barbaramente uccisa la bambina è lo stesso nel quale, il 12 novembre del 1974, è esplosa la quarta di dodici bombe collocate a Savona e dintorni. Pochi giorni dopo, a seguito dell’esplosione del settimo ordigno in un palazzo di Via Giacchero, muore Fanny Dallari. L’anziana signora di ottantadue anni è a nostro avviso innocente come lo è una ragazzina: ma non ci sembra che i ragazzi del Manfrei e i ragazzi de La Destra si siano mai battuti per conoscere la verità su episodi simili capitati in tempo di pace a vittime inermi e civili. Non ci risulta poi che nessuna associazione antifascista abbia utilizzato in modo strumentale e utilitaristico l’immagine e la storia della povera Fanny Dallari per ottener la verità giuridica sul fatto, cosa che prescinde dal pur doloroso caso singolo. Come mai la giusta curiosità intellettuale per i misteri della storia recente savonese non spinge i ragazzi ad interessarsi del misterioso e oscuro piano terroristico che ha sconvolto Savona quasi trent’anni dopo la fine della guerra? Fin troppo facile da capire. L’unica pista plausibile per quegli attentati è infatti quella nera, la stessa delle altre bombe della strategia della tensione (da Piazza Fontana a Piazza della Loggia) e come nei casi più noti è rimasta impunita a livello giudiziario ma accertata sul piano storiografico: scandalosamente infatti non si conoscono gli autori materiali ma è lapalissiana la committenza ideologica. Dobbiamo pensare che per rispondere a quello che viene definito il conformismo dei “gendarmi della memoria rossa” abbiano deciso di controbattere con il conformismo della “nera caserma dell’oblio”?

Circolo Giustizia e Libertà Cristoforo Astengo

lunedì 16 aprile 2012

Ai ragazzi del Manfrei e ai ragazzi de La Destra a proposito dei manifesti su Giuseppina Ghersi

L'omicidio della tredicenne Giuseppina Ghersi è stato un errore e un orrore. Il responsabile diretto di questo atto ignobile è solo e soltanto che si è reso colpevole del crimine. Per ora le diverse ricostruzioni della vicenda non fanno che creare confusione e divisione sull’accaduto. Le modalità, i moventi e le dinamiche di questo barbaro assassinio è auspicabile vengano quindi analizzate da un serio e imparziale studio storico, documentato e circostanziato. Ma i manifesti ad effetto, realizzati quindici giorni prima del 25 aprile, servono a riequilibrare il giudizio storiografico sugli eventi postbellici savonesi o solo a scandalizzare l’opinione pubblica, utilizzando cinicamente la sortita come spot pubblicitario a fini propagandistici? Il tentativo indiretto, ma evidente, di riabilitare con questa storia la posizione dei repubblichini e contemporaneamente di affossare la dignità dei partigiani è infattibile. Il ruolo della resistenza è stato quello di affrancare l’Italia da una dittatura e la condanna di un fatto singolo non inficia per nulla la giustezza della lotta di liberazione. D’altro canto, il ruolo dei ragazzi di Salò è stato quello di tutelare uno stanco regime dispotico e la morte della Ghersi non allevia per niente la brutalità della dittatura mussoliniana. A voler poi attribuire la colpevolezza fattiva dell’assassinio della ragazzina a tutta la resistenza di Savona e la complicità morale a tutto l’antifascismo savonese si sbaglia due volte. In prima analisi perché, come già detto, quel crimine è l’atto di individualità partigiane, non genericamente del movimento di liberazione. In secondo luogo perché a voler trovare, a livello culturale, le radici della violenza, della guerra e delle sue odiose degenerazioni, si deve indagare la dittatura fascista con le sue leggi liberticide, le sue persecuzioni, le sue galere, i suoi esili, i suoi omicidi e le sue deportazioni. La guerra è una cosa orrenda non solo per le vittime che lascia a terra ma per l’imbarbarimento che comporta e le violenze che innesca.
Vogliamo far notare che nel ventennio e durante la guerra, ci sono stati centinaia di migliaia di errori e orrori, come quello in questione, commessi dal nazifascismo. Ogni caso singolo è insopportabile e non è giustificabile. Ma quando l’inciviltà si innalza a sistema matematico, a persecuzione etnica, politica e religiosa il dramma umano personale diventa una tragedia di popoli, e in quanto tragedia di popoli viene indagato dalla Storia con un’attenzione maggiore rispetto agli isolati drammi umani. Noi condanniamo allo stesso tempo tutte le stragi di civili, tutti gli omicidi di innocenti e tutti i totalitarismi. Voi ragazzi del Mafrei? L’assassinio pur esecrabile di una ragazzina di tredici anni non è accostabile allo sterminio organizzato e preciso di centinaia di migliaia di bambine nei campi di concentramento. Ogni giorno di una dittatura è caratterizzato da crimini di questo genere e ogni giorno di guerra si macchia di tragedie simili. Essere sensibili ad un caso singolo e tralasciare la carneficina continua e incessante del regime, che quella barbarie ha scatenato, è una scorrettezza. Volerla paragonare? Un’assurdità. Volerla equiparare? Un’idiozia. Allora, nel 2012, in virtù della vostra tanto agognata “pacificazione nazionale” e del vostro spirito democratico, ve la sentite, in tutta serenità, di condannare pubblicamente il fascismo come una dittatura violenta e autoritaria, assassina e criminale? Ce la fate a prendere le distanze in maniera totale e globale da quella dolorosa e tragica esperienza? Riusciranno i simpatizzanti della vostra battaglia a riporre fez e baschi nel baule? Noi condanniamo nettamente il fatto singolo. Sta a voi il fardello più pesante e il compito più oneroso. Pensate a centinaia di migliaia di ragazzine, come Giuseppina, uccise metodicamente dalla forza politica brutale alla quale il partito da cui discende La Destra, l’MSI, si rifaceva in modo chiaro e netto. Sì perché l’altra destra, quella liberale, è legata ad un’altra storia: Aldo Ronzello, partigiano savonese e esponente del PLI nel CLN della nostra città, è stato ucciso il 25 aprile del 1945 da un cecchino fascista, mentre cercava di appendere un manifesto, sull’avvenuta liberazione, all’incrocio di Via Paleocapa e Corso Italia. Ma questa vicenda non appartiene appunto alla storia de La Destra e di queste vittime di “destra”, uccise a guerra finita, voi non vi occupate. Il perché è fin troppo chiaro. Si ripete che sono passati decenni e che si devono superare le divisioni: noi pensiamo che proprio perché ormai sono trascorsi quasi 70 anni dalla liberazione dovrebbe essere condiviso, per spirito di modernità e di pacificazione, il completo rifiuto del fascismo. Ad essere legati ad antichi retaggi e superate gendarmerie intellettuali sono per primi e prima di tutto coloro che non riescono a liberare il proprio panorama culturale dai legami con un regime dittatoriale. Ma sicuramente ci sbagliamo e i Ragazzi del Mafrei e i ragazzi de La Destra non avranno difficoltà a definirsi fieri antifascisti e il 25 aprile festeggeranno, come tutte le persone che amano la libertà di pensiero e di azione, la festa della liberazione.
Circolo Giustizia e Libertà Cristoforo Astengo-Federazione Italiana Associazioni Partigiane Nicola Panevino